A 36 ore dalla scomparsa

Steve ci ha lasciati da poco più di una giornata ed ancora l’eco delle sue gesta non si è spenta negli organi d’informazione che continuamente ne rievocano la sua vita straordinaria.

A mente fredda, cerco di analizzare la situazione personale, dopo lo shock della notizia di ieri. Il rapporto che mi ha legato ad una persona, pur non avendola mai conosciuta, così forte da considerarlo uno di casa. I miei lo conoscevano, gliel’ho presentato io, tutta la mia famiglia e i miei amici sapevano che io avevo un amico dall’altra parte dell’oceano a cui tenevo tanto.  Sapevano anche che ero andato a trovarlo, nel suo posto di lavoro, ma lui purtroppo non si era potuto presentare, per via dei suoi impegni lavorativi. Un’altra volta abbiamo rischiato d’incontrarci al Moscone West in occasione del MacWorld del 2008, io mi trovavo a San Francisco in quei giorni, ma le mie finanze non mi avevano consentito di assistere ad uno dei suoi keynote, il cui biglietto era abbastanza caro.

Nonostante il destino beffardo mi abbia impedito di conoscerlo, lui, Steve Jobs, era e resterà per sempre il mio mito. C’è chi come mito ha Gigi Riva, indiscusso campione del Cagliari dello scudetto, chi Indro Montanelli, chi ancora Aldo Moro. Io no. Io mi sono scelto una persona che non fa parte della storia né del mio popolo, né della mia terra. Uno che con l’Italia non c’azzecca proprio nulla, al massimo ci sarà venuto di striscio alcune volte.

Sì, sì sento già il coro di tutti quelli che si chiedono come si faccia ad avere uno sporco affarista spietato come riferimento nella vita. Semplice. SJ non vendeva aria fritta. Ma sogni. Sogni di alluminio satinato e vetro. Microchip brillanti e software ottimizzato. Questo unito ad un savoir faire da gentleman inglese più che da zotico yankee, un senso dello humor spiccato ed un carattere spigoloso che chiudevano il cerchio di una personalità forte e ben delineata da un’infanzia non certo semplice.

Quella stessa personalità che i suoi detrattori oggi si affannano a definire come un sintomo della sua smania per il controllo e la sottrazione della libertà dei suoi utenti. Apple è sempre stata un mondo chiuso. Me lo diceva anche il mio professore di telecomunicazioni all’Università, che mi voleva togliere 2 punti perché mi presentavo alle discussioni delle tesine con il mio PowerBook G4, salvo poi convertirsi anche lui. Io lo so che Apple è così ed in alcuni casi mi sta bene. Il software funziona come dovrebbe e l’hardware è scintillante e solo il toccarlo mi fa sentire speciale. Dietro i prodotti Apple riconosco esserci uno sforzo immane in termini di R&D e un’attenzione al dettaglio nelle piccole cose, che mi fanno capire che quel prodotto non è fatto solo per essere venduto, ma più di tutto è fatto per essere usato. E la funzionalità trascende tutto.

Tutto questo ha contribuito a creare il mito. Nella mia testa di stupido programmatore me lo vedo ancora là che sbraita verso un manipolo di giovani ingegneri arrivati con un biglietto di sola andata da Stanford, mentre dice che non capiscono nulla e che se continuano così li manderà via a pedate. Che nella più grande azienda del mondo non c’è spazio per loro, stupidi ragazzini brufolosi. Steve era così, un momento prima ti esaltava, quello dopo non ti voleva vedere neanche di striscio. E le persone con le quali lavorava questo lo sapevano bene. Era una sfida per loro. Entrare nelle grazie del CEO era cosa non per tutti ma la smania di competizione non li faceva mollare.

Il fatto di affrontare il suo tempo a muso duro senza mai cedere il passo alla noia e alla sensazione di sentirsi arrivato, questo è quello che i vari imprenditori del nostro paese dovrebbero imparare. E che devo imparare anche io. Quest’uomo e la sua baracca mi hanno dato una lezione come nessuno mai in vita mia. È riuscito a toccare le corde giuste e a parlare direttamente al cuore. Senza piagnistei, senza retorica. Poche giuste parole. Pochi prodotti, ma giusti. Funzionanti. E belli, dannatamente belli.

Oggi su Repubblica ho letto una testimonianza di Philip Stark, un altro grandissimo designer dei nostri tempi. Con Steve hanno parlato più volte. Ma alla richiesta della parola definitiva mentre si avvicinava la fine, Steve ha risposto con un: “l’onestà”. Non fatico a crederci. Davvero. Sono convinto che abbia vissuto in base ai propri principi sino alla fine. Per le persone che lavorano nel nostro settore, quello dell’information technology, è impossibile, anche solo a fini storici, ignorare il contributo della Apple, soprattutto per mano del suo fondatore, all’innovazione nell’informatica e le sue ripercussioni sulla società civile.

Oggi mia mamma a 60 anni usa un Mac e si diverte a catalogare le sue foto dello sci nautico e geolocalizzare sulla mappa di iPhoto le istantanee catturate (col suo iPhone) in montagna l’estate scorsa. Oggi mio cuginetto di 8 anni usa il mio iPad 2 e l’iPhone come se li avesse sempre utilizzati. Non c’è stato bisogno che gli spiegassi nulla. Mi ha semplicemente visto usarlo una volta. Ma il problema è che lo faceva anche quando non sapeva ancora leggere ma vedeva e riconosceva le icone e cliccava col dito su quella che riconosceva dalla volta precedente.

Io, adesso, non so se tutto questo sia giusto. Ma a me basta per considerare l’uomo che ha pensato questi oggetti e ha dato loro foggia come un riferimento per la mia carriera professionale e umana. Abbiamo bisogno di riferimenti, come l’aria, in questo periodo storico e lui, mai come altri ha incarnato lo spirito avventuriero e reazionario di chi sa che prima o poi la spunterà su tutti. Puoi riposare in pace, ora, Steve, questa volta l’hai davvero spuntata tu.

4 thoughts on “A 36 ore dalla scomparsa

  1. Posso dirti che TI STIMO?? Hai fatto un articolo bellissimo……io sono una fanatica della apple e pur non conoscendo Steve Jobs ieri sembrava fosse morto un mio parente xkè l’idea della mancanza di qualcuno che crede nell”impossibile” e poi lo realizza mi fa troppa tristezza…….ci mancherà 🙂

  2. Pingback: Apple did it again | Simone Kalb

Leave a Reply

Your email address will not be published.