Android Studio 1.0: Installazione e troubleshooting su Yosemite

Android Studio

Tempo di cottura: 30 min.
Ingredienti:

Google ha recentemente fatto uscire dalla fase di beta il proprio nuovo pupillo che sostituisce ADT (Android Development Toolkit) per lo sviluppo delle app native su piattaforma Android: Android Studio.

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Jobs: io l’ho visto

Jobs Il filmIeri sera ho visto Jobs. Sì, quel film con Ashton Kutcher. E vorrei parlarvi delle mie impressioni. In fondo si può dire che il film sia carino. Certo non un capolavoro. Ma decente. La parte iniziale è ambientata nel 2001. Il protagonista assomiglia in maniera accettabile al vero protagonista la cui faccia è ancora stampata in maniera indelebile nella nostra memoria.

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iOS 7 e la penuria di ingegneri

John Gruber di Daring Fireball è uno che c’azzecca. È molto ben inserito nell’ambiente e ha varie conoscenze nei meandri di Cupertino. Di solito non credo molto ai rumors, ma quando parla lui o il NYT assieme ad altri quattro o cinque, vale la pena sentire cosa dicono.

iOS7Qualche giorno fa ha scritto che lo sviluppo di iOS 7, stando a quanto si dice da un thread su Branch è in ritardo tanto è vero che alcuni ingegneri che si occupano dello sviluppo di OS X sono stati dirottati su iOS. La cosa non è nuova per Apple.

Già nel 2007 (quando si chiamava ancora iPhone OS, prima che Apple chiedesse, e ottenesse, la licenza del nome iOS da Cisco Systems) si era verificata una cosa simile e molti ingegneri in capo allo sviluppo di MacOS X 10.5 Leopard erano stati assorbiti dal team iPhone. Tanto è vero che l’uscita di Leopard era stata ritardata ad Ottobre.

Ma era il 2007. Apple non aveva ancora venduto tutti questi iCosi. iOS non aveva tutto l’ecosistema delle app e c’era ancora Forstall ( 😀 ). Oggi le cose sono ben diverse e le cose sono due:

  • O Apple non ha imparato le lezioni del passato 
  • O Apple è ancora in subbuglio dopo la cacciata di Forstall e Jony Ive è un disastro come capo della HI (Human Interface)
  • O Apple vuole mantenere l’asseto da startup continuando a destinare poche eccellenti risorse ai progetti di punta, con la filosofia che tutti devono sapere fare tutto (Jobs la pensava così)

In ogni caso, se il probabile ritardo di iOS 7 fosse dipeso da quest’ultima ipotesi credo che si tratterebbe di un caso ridicolo e francamente ingiustificabile.
Come è possibile che un’azienda che ha in iOS il suo fiore all’occhiello non sia strutturata per avanzamenti di versione regolari per tenere il passo alla concorrenza?

Questa scusa della mobilità interna a favore di una più snella organizzazione del lavoro non ha più senso.  Non ne ha perché hanno venduto 500M di unità con iOS e 75M solo nell’ultimo quarter.

Assumete qualcuno in più. Siete Apple, manco la Piccola Fabbrica delle App™, ecchecazzo..vabbé io vado ad accandere il mio Nexus 7. Buonanotte.

Incontri e appuntamenti che vi siete persi

Sono stato a lungo lontano dalla tastiera.
Effettivamente sono stato abbastanza occupato (si dice sempre così ma non è mai vero, poca voglia di scrivere). In realtà ero in ferie e le ferie sono sacre, come le vacche in India.

Surf House a Bajamar

Quest’anno ho deciso di prendermi uno stop tra Ottobre e Novembre. Quando tutti cominciano a mettere il giubbotto, dove sto io anche prima del tempo, decisamente,  io mi sono messo i bermuda e le ciabatte e sono andato a Tenerife: una delle isole delle Canarie. Se non sapete dove stanno, ve lo dico io, in mezzo all’Atlantico e di fronte al Marocco/Western Sahara.

Clima pauroso. Caldo 22°/30° tutto l’anno con la temperatura dell’acqua anch’essa in questo range. Onde belle (per surf da onda, logicamente), su roccia e spesso lunghe/lunghissime (come a Bajamar nel Nord).

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Indie Game: the Movie

Avant’ieri sera è passata inosservata tra una maglia e l’altra della Rete occupata in gran parte a commentare l’uscita del MacBook Pro (di cui potete leggere qua) e della partita Polonia-Russia, l’uscita di un importante film, intenso e avvincente sulla storia di 3 piccoli (neanche tanto) progetti indipendenti di altrettanti giochi multipiattaforma che hanno raggiunto un ottimo successo di pubblico perché decisamente innovativi: Braid, Super Meat Boy e Fez.

Il film, in preorder su questo sito, s’intitola Indie Game: The Movie ed ha vinto svariati riconoscimenti tra cui anche il Sundance World Cinema Documentary Competition.

Si tratta della storia di tre autori indipendenti di giochi che hanno realizzato 3 platform che in qualche modo sovvertono la struttura tradizionale del genere a cui siamo abituati (quella stile Mario Bros per intenderci). Nel film vengono mostrati i loro successi ed insuccessi e gli stati d’animo che si provano nel mettersi in gioco, nel rischiare il tutto e per tutto.

Consiglio a tutti la visione, primo per la bellezza del film, secondo per il prezzo decisamente accattivante (solo $ 9,99 circa € 8.00), terzo per la possibilità di acquistare da Steam e iTunes (non consigliato), ma soprattutto per la possibilità di scaricarlo o guardarlo in streaming dopo l’acquisto, sia a 720p che a 1080p con in sottotitoli anche in italiano per i meno anglofili.

P.s. Non dimenticate che ancora per poche ore potete, inoltre, fare un’opera di bene sostenendo Humble Indie Bundle, un progetto pay as you want con 8 giochi indie DRM Free ognuno disponibile per le 3 piattaforme Windows, GNU/Linux e Mac, in cui potete decidere la destinazione della vostra offerta a scelta tra Electronic Frontier Foundation e gli sviluppatori dei giochi. Infine due dei tre giochi di cui si parla nel film sono presenti nel bundle.

Apple did it again

Photo courtesy by The Verge

Raramente mi capita di commentare ciò che succede nel mondo Apple…ma stavolta devo ammettere che il nuovo MacBook Pro retina display mi ha veramente sorpreso.

Dopo la dipartita del povero Steve (di cui potete leggere l’elogio funebre qui) per qualche tempo ho iniziato a pensare seriamente che l’azienda di Cupertino stesse cominciando a comportarsi esattamente come i suoi concorrenti, nella fattispecie Google per il mobile e tutto il resto del mondo (ma forse Samsung su tutte) per ciò che concerne l’hardware.

Infatti l’eccessiva rincorsa alla prestazione si è incarnata sia nell’iPhone 4S che nel “nuovo” iPad che effettivamente è quello che più conferma questa teoria, e che, a parte il display retina, ha veramente meno senso di esistere.

Lasciando perdere il prezzo, che al cambio $/€ è ancora più preoccupante, il nuovo MacBook Pro è quello che noi, utenti un po’ smaliziati abbiamo sempre desiderato. È fine come un MacBook Air di cui abbiamo sempre invidiato il form factor, ma è potente come un MacPro (a proposito che buffonata è questa?) e, mio Dio!, ha un display da urlo.

Il sistema di ventilazione è abbastanza moderno e molto ben congegnato e permetterà di sicuro di evitare quell’effetto scaldino Imetec, tanto caro ai portatili Apple già dai tempi del PowerBook (soprattutto in vista dell’arrivo della stagione calda).

I 4 core sono della serie Ivy Bridge com bassi consumi e ottime prestazioni soprattutto grazie al Turbo Boost (quello di Supercar per intenderci), fanno il paio con una generosa dotazione di RAM a 1600MHz (…e finalmente…) e totale assenza di parti meccaniche che lo rendono decisamente più leggero e più efficiente in termini di consumi energetici, oltre che in termini di affidabilità. Due parole sulla scheda grafica, che Apple affida nuovamente ad NVIDIA la quale le fornisce una brillante GeForce 650M con 1GB RAM GDDR5 con 384 Cuda Cores e supporto per OpenGL 4.1.

Concludono le specifiche tecniche la memoria Flash da 256GB espandibile sino a 768GB che ha già dato ottime prestazioni su MacBook Air decisamente un altro pianeta in termini di prestazioni e velocità di avvio nonché di wake-up. Infine Apple si è finalmente data una mossa ed ha inserito due porte Thunderbold e due USB 3.0 (finalmente, non capisco cosa si stesse aspettando) e lettore smart card. Ovviamente niente drive DVD, ma who cares?

Ma la cosa che impressiona di più di questa macchina è chiaramente il display capace di una risoluzione di 2880×1800 pixel. Apple dice che sono 3 milioni di pixel in più del vostro televisore in Full HD ed ha ragione. Il sottile strato di vetro è incollato direttamente al display e ne evita l’eccessivo riflesso.

Non immagino cosa deve essere lavorare con una simile meraviglia per gli occhi. le applicazioni già ottimizzate sono sicuramente Safari e iPhoto e sono curioso di vedere come si comporta il sistema operativo.

Insomma Apple lo ha fatto di nuovo. Evidentemente ha dimostrato di saper ancora innovare e primeggiare anche in un settore che sembrava aver trascurato e che teneva ancora in vita a colpi di sporadici speed bump, come quello dei notebook.

Infine, questa innovazione apre la strada ad una nuova generazione di iMac, MacBook Air e chi più ne ha più ne metta che ci consentiranno di muoverci in terreni finora inesplorati come il gaming ad altissime risoluzioni (Diablo III cosa dev’esssere) , montaggio video in full HD ad 1:1 e fotoritocco estremo..

Pro

  • Design
  • Risoluzione Stratosferica
  • Caratteristiche tecniche ineccepibili
  • Ideale sia per il gaming che per il montaggio
  • Durata batteria
  • 2 Thunderbold e 2 USB3.0

Cons

  • Prezzo incommensurabile
  • Cambio dollaro euro non consono
  • Magsafe 2 (adattatore € 10,00)
  • Manca la porta Ethernet (adattore €29,00)
Prezzo:
€ 2299,00 per il modello a 2.3GHz
€ 2929,00 per il modello a 2.6GHz e 512GB HDD

Gli smartphone e la dipendenza tecnologica: il caso Nike+

In questi giorni, prendendo spunto da un post sulla lista Gulchelp dell’ottimo Marco Marongiu sono entrato in una delle mie solite paranoie mentali sullo stato delle tecnologie e degli smartphone e sul software che ivi insiste.

Questa paranoia mi ha portato ad una terribile quanto inevitabile considerazione: siamo schiavi. Siamo schiavi delle multinazionali. E non pensatelo come uno sfogo anticapitalista o da popolo di Seattle politcamente schierato.

Il problema oltre che avere dei risvolti etici, ne ha, anche e soprattutto, di grossi per quanto riguarda l’aspetto tecnologico. Infatti, tutti quelli che usano uno smartphone si dividono, a parte relativamente piccole nicchie come Windows Phone e altri, in due macrocategorie: user Android e user iOS.

Mettiamola così, i difensori del software libero preferiscono un terminale Android, gli altri tipicamente possono usare iOS o lo stesso Android e la scelta ricade su altri fattori: l’esperienza utente (e qua, inutile negarlo, vince sicuramente iOS), la disponibilità di App (idem con patate) e apertura della piattaforma (Android a mani basse)  o altre considerazioni, fate voi.

In realtà e gli uni e gli altri utenti sono entrambi entrati in un modo di usare la tecnologia fortemente dipendente dalla piattaforma nonché dal software. Faccio un esempio. Io sono un utente iOS della prima ora. Mi comprai un iPhone americano del Gennaio 2008. Poi un iPhone 3GS, ora possiedo un iPhone 4.

Dopo alcuni anni di utilizzo, ti focalizzi su alcune applicazioni che ti consentono di fare determinate operazioni. Per esempio io adoro correre e mi traccio le corse con Nike+.  Iniziai parecchi anni fa con i primi iPod Nano tramite un ricevitore da attaccare al device e un sensore da mettere nella scarpa. Figo. Effettivamente, nel corso degli anni la tecnologia si è evoluta ed ora sono in grado di poter sfidare gli amici, tracciare col GPS il percorso e conoscere il tempo kilometro per kilometro con un’ottima accuratezza.

Di conseguenza ora non ho più necessità di mille aggeggi per poter tracciare la corsa, ma basta lanciare l’app Nike+GPS (link iTunes) sul mio iPhone e iniziare a correre. Una volta terminata la corsa, questa mi viene sincronizzata sul sito e posso monitorare costantemente i miei progressi. E fin qui tutto bene.

Pensiamo adesso di voler provare una nuova applicazione chiamata Runtastic (link iTunes) perché ha qualche funzionalità in più e funziona sia su iPhone che su Android. Non posso. O meglio posso ma perdo tutte le informazioni sulle mie corse precedenti (210 ad oggi). Dal sito Nike+ non posso scaricare le corse in un qualche formato come ad esempio CSV o che ne so un JSON o meglio GPX .

Mi rendo conto, quindi, che le corse NON SONO MIE. Anche se le ho fatte io. Le detiene Nike+. Cioè, secondo loro, io sgobbo e loro si tengono i dati? No, non va bene. Voglio disporre delle mie corse e le voglio ora.

La mia furia si placa subito dopo una breve ricerca su Google mi restituisce un simpatico webservice che consente di esportare le corse dal sito Nike+ con un semplice click. Si chiama EagerFeet. Consente di esportare in formato GPX, un dialetto dell’XML con POI, altimetria e altre amenità varie.

Ma questa piccola esperienza fortunatamente conclusasi bene per i miei dati ci può insegnare qualcosa: i dati che tu tieni sulla nuvola non sono veramente tuoi finché non li puoi scaricare con formati aperti e liberamente consultabili.

In secondo luogo le varie app che scarichiamo sul nostro device sono tutte o quasi (quella di Facebook si basa sul progetto Three20 che è libero) software non open source e i dati che noi produciamo tramite esse è spesso in formato chiuso. Questo ci porta a parlare dello scopo di questo post.

La dipendenza tecnologica.
Supponiamo ora che Nike+ non sia stata così accomodante riguardo i nostri dati da consentire chiunque tramite un servizio web di scaricare i propri dati, ma di tenerli chiusi in un cassetto. Perfettamente lecito, basta cambiare le clausole del servizio e decidere che da domani tu debba pagare per usufruire del servizio.

Ora tu non puoi continuare a inserire le tue corse se non con la mia applicazione che guarda caso gira solo sul nuovo iPhone 4S e non più sul tuo iPhone 4, perché sono cambiati i requisiti tecnici per l’app e con il nuovo aggiornamento non puoi più loggarti dal tuo telefono (sto volutamente estremizzando).

A questo punto ci troviamo obbligati a cambiare telefono o aggiornare il sistema operativo per fare in modo di poter ancora utilizzare quello che utilizzavi sino a poco tempo fa. Non puoi cambiare servizio o disporre dei tuoi dati. Sei dipendente dal tuo fornitore di servizio. Come un drogato col suo pusher, che in questo caso si chiama Apple, Google o Nike (non ce l’ho in particolare con nessuna delle tre).

Microsoft e Sony in questo sono maestre con le piattaforme XBOX 360 e PlayStation 3, Blizzard lo fa con World of Warcraft e Diablo (per cui si richiede una connessione costante ad internet per salvare il personaggio sui loro server) e così via. In realtà il problema è abbastanza diffuso ma nel mondo mobile questo è a mio parere una pratica ancora più deleteria, perché in ballo ci sono i nostri dati personali, ancora più personali. Le nostre foto, i nostri contatti, gli SMS all’amante e quanto di più riservato ci sia nella nostra sfera personale.

Da questo punto di vista il software libero non ha padroni, né rivali. Arriva sempre un po’ dopo sulle tecnologie (non sempre comunque), ma offre un’impareggiabile libertà e minore dipendenza tecnologica di tutte le altre soluzioni. La piattaforma di cloud OwnCloud, per esempio, fornisce funzionalità di cloud simili a quelle Apple o Google e può essere installata sul tuo NAS. Impareggiabile.

Peccato che come detto precedentemente, gran parte delle app non siano Open Source né l’App Store sia compatibile con questo tipo di licenze. Famoso a riguardo il caso del player libero VLC che era stato dovuto rimuovere dallo store di Apple per via della violazione della licenza GPL.

In sostanza, la raccomandazione è di scegliere sempre prima d’installare qualsiasi App che produca dati che vi torneranno utili in futuro per vedere se si può configurare una dipendenza tecnologica nel medio-lungo periodo. Magari spesso anche solo una ricerca su Google può dare i frutti sperati, come in questo caso, altre volte è meglio preferire delle alternative meno mature ma più libere per i vostri dati.

 

SK Wiki

SK Wiki logoÈ un po’ di tempo che non scrivo e la causa spesso è più la pigrizia piuttosto che le cose che non ho da dire a costituire il motivo di questa assenza.

Chiaramente nel frattempo sono uscite diverse cose molto interessanti e se mi seguite su Twitter avrete avuto modo di vederne alcune. Faccio un rapido sunto. Per chiunque abbia abitato sulla Terra in questi ultimi due mesi, è impossibile non aver notato l’uscita di Diablo III che ha venduto la bellezza di 3.5M di copie nelle prime 24 ore.

Ne hanno parlato anche i muri e quindi forse non è il caso che mi dilunghi tanto su questa tematica, solo per dire che io mi sono comprato la Collector’s Edition e forse nei prossimi 10 mesi almeno non vedrò più la luce del giorno.

Nei prossimi giorni una recensione approfondita potrebbe non levarvela nessuno, anche se il mio punto di vista potrebbe essere poco importante rispetto alla recensione di Multiplayer, Everyeye, Gamesblog o, peggio, Gameinformer..nel frattempo beccatevi ‘sta foto della scatola…

Il senso di questo post, però, verte su qualcos’altro. In effetti, ho tirato su un piccolo Wiki. Poca roba per adesso. Un’installazione di MediaWiki abbastanza standard. Un wiki serve a me per segnare tutte le esperienze in un contenitore comune su cui qualcun altro possa metterci le mani (previa registrazione) e a Voi lettori per trovare qualche informazione qualora dobbiate risolvere qualche piccolo problema di gestione quotidiana nell’uso del computer.

Sul wiki, accessibile da questo indirizzo, ho diviso le informazioni in varie sezioni molte delle quali ancora non accessibili, altre invece come quella sulla mia, breve, esperienza con PS3 e installazione di GNU/Linux.

Altre sezioni sono pensate per argomenti slegati dall’informatica in senso stretto, ma comunque attinenti ai miei interessi, come la cultura fantasy e fantascientifica e la mia, piccola, collezione di giochi di ruolo che verte soprattutto su AD&D 2nd Edition.

Non escludo di inserire in futuro anche qualche altra mania che saltuariamente mi colpisce in maniera più o meno profonda. Ve ne potrete accorgere dall’intensità dei miei post su Twitter, se avrete la pazienza di seguirmi.

 

 

Volunia, santo o peccatore?

Vorrei spendere due parole due per Volunia.

Ieri pomeriggio c’è stata la presentazione del progetto Volunia presso l’Aula Magna dell’Università di Padova. Non c’è che dire, proprio una bella sede. In netto contrasto con le sedi moderne e multifunzionali delle giovani startup americane. Poteva essere un punto di forza. Non lo è stato.

I problemi tecnici che hanno afflitto l’inizio della presentazione con un proiettore che non si sapeva fosse spento (!!!!) testimoniano, qualora ce ne fosse bisogno, ancora una volta la vocazione poco imprenditoriale degli accademici italiani. E la loro poca cura per il dettaglio.

Facciamo una piccola digressione. Negli States la concorrenza nel campo dell’IT è a dir poco feroce. Ripeto feroce. Ogni giorno ti svegli con l’assillo di dover correre più veloce dei tuoi concorrenti perché se no muori. Ed in molti casi, morire equivale a perdere tutto quello che hai. Ti metti in gioco completamente. Ti affidi solo alle tue forze. Per questo motivo generazioni di imprenditori della SV hanno fallito e imparato che per fare breccia sulle persone o sugli investitori hai al massimo 10 minuti. Questo è il tempo che ti è concesso per mostrare un’idea, per stupire e mostrare quanto vali veramente.

Se in quei minuti non riesci a far breccia è probabile che in quello che presenti non ci creda neanche tu oppure l’idea non sia buona. Massimo Marchiori è riuscito nell’impresa di trasmettere entrambi. Ma partiamo dall’inizio.

Oltre al già citato disguido del video proiettore, per me già abbastanza per chiudere la scheda di Chrome, decido di dare fiducia e proseguire nella visione. Inizialmente, dopo 15 minuti di ritardo dei conferenzieri, comincio a sorbirmi un tremendo pippone da parte degli stessi, tutti sopra i 60, tra cui anche il sindaco di Padova, che con le solite parole e frasi di circostanza lodano il buon Marchiori, parlano un po’ della situazione difficile in Italia, come se nessuno fosse mai responsabile di nulla e dopo una bella decina di minuti riesce a prendere la parola l’oratore principale, che non si sa per quale motivo, è stato messo al lato sinistro della scrivania, quasi fosse in disparte e quasi il suo intervento fosse superfluo.

Marchiori parla di anteprima mondiale. A Padova, e vabbè, siamo italiani..ma in italiano? Sì avete sentito bene, un’anteprima in italiano. Di un prodotto che, a sua detta, è indirizzato ad un pubblico mondiale. Neanche uno scemo da qualche parte che scrive qualche sottotitolo o che nel frattempo twitta, che ne so..niente. Se non sei italiano, mi spiace ma questo Volunia non fa per te.

E vabbè, dovevano fare contenti gli astanti, dovevano compiacere gli ospiti magari i giornalisti italiani non capiscono l’inglese e quindi perché scontentare una trentina di persone per raggiungerne qualche miliardo? Mi sembra giusto no?

Andiamo avanti. Marchiori s’è preparato proprio una bella lezioncina, farcita di “eee”, “ehm”, “uh”, “ah”. Userà il paragone delle galline. Le galline non possono volare, si sa.Noi le faremo volare con Volunia. Ma se non possono volare? Mi sa che il paragone non è proprio così calzante. Il discorso non fluisce certo senza intoppi come si addice ad un’anteprima mondiale. Anzi le parole non sono incisive e determinate, ma le frasi sono colme di “se volete”, “se mai utilizzerete” et similia. Non ha granché senso se vuoi vendere una cosa che deve sfidare Google. Dal punto di vista della comunicazione, posso affermare senza tema di smentita che la presentazione ha fatto schifo. Mi dispiace dirlo. Ma è quello che ho provato. Un po’ di schifo, misto a commiserazione. Ok, lo so che hai lavorato due anni tutti i giorni 15 ore, ma purtroppo se me lo presenti così, caro mio, io una seconda possibilità non te la do.

Quando da studente arrivi all’esame impreparato, magari hai studiato tanto, notti intere, ma poi non riesci a spiccicare parola col professore perché non hai ripetuto oppure perché non sei convinto di ciò che dici o ancora perché non riesci a giustificare le tue asserzioni in maniera convincente, l’esame non lo passi. E l’unico con cui prendertela è te stesso. Magari agli amici dici che il prof. è stato bastardo, ma in cuor tuo lo sai bene.

Ecco, Marchiori è riuscito a fare autogol senza neanche un contradditorio.

Parliamo ora di ciò che riguarda l’idea in sé. Un motore di ricerca deve cercare, sì, siamo tutti d’accordo. L’unica ricerca che ho visto è stata sul sito della NASA. Bene, Marchiori dice che non è possibile avere tutti i siti indicizzati a questo livello di sviluppo. Ok, andiamo avanti. Le funzionalità del motore di ricerca, che nella sua interfaccia sembra più che altro una toolbar, ma ne parliamo dopo, sono le seguenti: la mappa, la funzionalità social e il “volo” sulle risorse audio, video.

Giusto? Mi sembra di non dimenticare nulla.

Quindi, diciamo che anche da questo punto di vista il tutto lascia molto a desiderare. Una mappa del sito in visuale 2D isometrica, che viene creata a partire dalla mappa del sito con delle casette e dei giardini confinati. Carino graficamente (puoi anche scegliere i temi diversi), ma totalmente inutile. Non mi serve, i siti grossi come NASA hanno già un loro sitemap. Potrebbe bastare un plugin per Firefox. Chi vuole se lo installa. Fine. Non più che un esercizio di stile. Non una feature irrinunciabile. Vabbè andiamo avanti.

La funzionalità social. Ah. Cioè posso vedere in qualsiasi momento chi sta frequentando la pagina e chattare con ognuno di essi. La mia toolbar blu si riempie di facce che corrispondono alle persone con cui posso chattare in quel momento. E posso, inoltre, chiedere l’amicizia in base ai miei interessi in comune, oppure chiedere l’amicizia generica. Questa potrebbe essere anche una feature abbastanza carina, e sarò curioso di vedere quanto effettivamente l’interazione sia differente dagli altri social network. Ma di sicuro non tanto da strapparmi le vesti.

Graficamente, infine, il sito ha un aspetto molto poco moderno, il logo, è già stato ricordato in altre occasioni, ricorda quello di TuiFly. Per adesso tutti gli screen che ho visto non sono all’altezza di un prodotto moderno. E qua, due parole non me le leva nessuno.

In Italia, stranamente, si pensa che l’aspetto grafico e l’UX sia qualcosa di lontano, remoto, inutile. Che la cosa più importante sia, altresì, la funzionalità intrinseca e il motore. Nulla di più sbagliato, purtroppo. Ci si gioca tutto qua. In questo campo. Quindi, per favore, pagate bene qualche grafico e qualche UX designer e mettetevi a posto l’interfaccia che non si può vedere.

Inutile fare i disfattisti o cercare di mettere il bastone tra le ruote a questo manipolo di coraggiosi, ma se questo è lo stato dell’arte del settore IT in Italia allora siamo proprio messi male. In bocca al lupo.

P.S. Pare che il progetto sia costato otre due milioni di euro. Alla faccia. Non si poteva cominciare con un Kickstart?

beBold è finalmente disponibile!

 

Oramai non ci speravo più.

Erano passati più di 5 mesi dal 27 Maggio quando io, con una serie di altri personaggi nerd quanto me, ci siamo dati appuntamento al primo CocoaHeads italiano in quel diCarpi (MO). L’occasione era una di quelle decisamente difficili da affrontare. Riunitici nei meravigliosi uffici di CommandGuru, giovane startup che ospitava la manifestazione, ci siamo trovati a dover realizzare un’app per iPhone in una notte, beBold, per poi sottometterla all’App Store di Apple.

Molto semplice come da copione le funzionalità, per via del pochissimo tempo a disposizione, la nostra si doveva configurare come una di quelle applicazioni reminder quali la bellissima WunderList e la recentePromemoria di Apple. Solo che l’app scelta dai ragazzi di CommandGuru (CG) era pensata un po’ in prospettiva, visto che i cosiddetti achievements possono comprendere diverse sfere umane (famiglia, finanza, formazione,  salute, casa, lavoro, spiritualità, viaggi). Infatti si può aggiungere, modificare o segnare come fatto uno di questi obiettivi stabiliti dall’utente (ad esempio: Conoscere il Dalai Lama in spiritualità, ecc.) da completare nell’arco di una vita.

Aldilà dell’esperienza in sé decisamente stimolante e formativa, è bello vedere un’app a cui hai dato il tuo personale contributo finire nell’App Store, dopo appena una notte di lavoro. Il consiglio è decisamente quello di provarla e di fornire un feedback agli sviluppatori, anche perché beBold è gratuito .Per questo vi rimando al video della nottata e al link dell’app su App Store. In attesa di avere a disposizione il codice disponibile su GitHub alla pagina di CG, ringrazio tutti i ragazzi che hanno contribuito alla stesura dell’applicazione e tutti i ragazzi di CommandGuru che hanno fatto in modo (totalmente a spese loro) che l’applicazione sia stata rilasciata.

beBold on App Store

Di seguito i nomi:

Alessio Zito Rossi, Gabriele Contilli, Paolo Ladisa, Simone Kalb, Il Malvagio Dottor Prosciutto (!), Giovanni Lodi, Riccardo Soffritti, Andrea Gelati, Daniele Conti, Francesca Guadagnini, Martino Bonfiglioli, Tommaso Tani, Mattia Toso, Luca Ferrari, un grazie a tutti, ragazzi.